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29 dic 2013

Jared Leto’s Artifact | Fucine Mute webmagazine

Jared Leto’s Artifact
La verità, vi prego, sulle case discografiche
28 DICEMBRE 2013
Avevamo venduto milioni di album. Poi scoprimmo che non saremmo mai stati pagati un solo centesimo e che eravamo in debito per milioni di dollari. Il nostro errore fu di dire ok ad una tradizione.
Jared Leto, da Artifact
La musica è il veicolo più potente del mondo.
Kenna, tecnico e musicista, da Artifact
Voglio solo suonare, suonare, suonare.
Shannon Leto, da Artifact
30 Seconds to Mars
Sono lontani i tempi in cui i Sex Pistols, abilmente guidati da quel genio del crimine musicale che era Malcom McLaren, seminavano scandalo in Inghilterra a più non posso con il dichiarato intento di spingere la loro casa discografica di turno a rompere il contratto prima del previsto, allo scopo di farsi pagare una penale. Ora sembra che la moda tra le major della musica sia quella di finire in tribunale con i propri artisti.
Ne sanno qualcosa i Pink Floyd, che hanno fatto causa alla EMI sulla spinosa questione delle royalties, ma non solo. L’elenco potrebbe continuare, ma un caso su tutti è diventato particolarmente famoso, non solo per l’esorbitante cifra chiesta alla band, ma anche per il modo in cui la lite è proseguita – EMI contro Thirty Seconds To Mars.
La storia parte da lontano. Nel 1998 Jared Leto, attore già acclamato dalla critica per la sua prima interpretazione d’effetto come protagonista nel film Prefontaineformò assieme al fratello Shannon una rock band che chiamarono, per l’appunto,Thirty Seconds To Mars. Appassionati di musica fin da bambini, cresciuti in un modo disordinato con una madre poco più che adolescente, ma sempre con qualche strumento in mano, i due fratelli Leto decisero di dare una svolta professionale alla loro passione, ma volevano farsi strada con le loro forze, al punto che Jared rifiutò di fare pubblicità alla band sfruttando la sua notorietà di attore. Fu così che nel 1999 la Virgin Records, una delle più importanti case discografiche del mondo, firmò un contratto con loro. La band, formata allora da quattro elementi, si mise subito al lavoro e nel 2002 pubblicò il primo album, chiamato proprio come loro: Thirty Seconds To Mars. Era un album non facile, brani con testi colmi di metafore e significati non sempre chiarissimi, ed a volte anche controversi, ma il successo li premiò immediatamente. L’album ottenne degli ottimi risultati di vendita e di critica, ed il pubblico scoprì questi quattro musicisti anche grazie alle numerose apparizioni live e televisive.
30 Seconds to Mars
Agli inizi del 2003 ci fu il primo cambiamento nella loro formazione, con l’abbandono della band da parte di Solon Bixler, il chitarrista, che fu sostituito da Tomo Milicevic.
Passarono due anni prima che i Thirty Seconds tornassero in studio. Nel 2004 iniziarono a comporre quello che sarebbe stato il loro secondo album, nonché quello che ne consacrò il successo a livello mondiale, A Beautiful Lie. La lavorazione non fu semplice, non solo per la precisione maniacale dei membri nel comporre e registrare i loro pezzi, ma anche perché ormai Jared Leto, il cantante della band, aveva raggiunto la fama come attore, e conciliare il doppio impegno, il cinema e la musica, stava diventando sempre più difficile. Al suo attivo aveva film come Fight Club, Panic Room, American Psycho ed aveva già ricevuto numerosi riconoscimenti e nomination per il suo lavoro. C’era quindi il problema di riuscire a far coincidere la carriera di attore, ormai professionista, con gli impegni della band, che fino a quel punto era comunque qualcosa più simile al divertimento che non ad una scelta professionale vera e propria.
A Beautiful Lie uscì nel 2005 ed ottenne subito, come dicevo, un notevole successo. Arrivarono i dischi d’oro e di platino, e le vendite erano ormai contate sui milioni di copie in tutto il mondo. Iniziò anche un tour che fece conoscere le loro abilità di musicisti live, la capacità invidiabile di coinvolgere l’audience nelle loro esibizioni, lo stretto contatto con i loro fan, che crescevano di giorno in giorno. Jared Leto sembrava però volere sempre di più, a livello artistico. Forte della sua esperienza nel mondo del cinema, decise di diventare il regista dei video tratti dal loro nuovo album, anche se scelse di firmarli con lo pseudonimo di Bartholomew Cubbins. Piccoli film d’autore, più che videoclip, che raccontano delle storie in pochi minuti, con una trama che si sviluppa intorno alle note delle loro canzoni.
30 Seconds to MarsLa band era ormai lanciata nell’Olimpo della musica. I più grandi festival europei, e non solo, li volevano sui loro palchi, le televisioni e le radio se li disputavano all’ultimo sangue, i loro concerti erano sold out; nacque addirittura un esercito dei loro fan, affettuosamente chiamati Echelon, che costituiscono ancora oggi il cosiddetto Mars Army, l’esercito dei Mars, appunto. Il video tratto dal loro singoloFrom Yesterday fu un tripudio di opulenza: tutta la band ed il loro staff si trasferirono in Cina dove diventarono la prima rock band a girare un video all’interno della Città Proibita (ma si sa, ormai la Cina si è svenduta al capitalismo occidentale senza grossi sensi di colpa). Il risultato fu un altro mini film della durata di tredici minuti e trenta secondi, che ricalca in modo quasi uguale il capolavoro di Bernardo Bertolucci L’Ultimo Imperatore, un omaggio di Jared Leto al cinema d’autore italiano, con l’aggiunta però di elementi visionari come nello stile della band. Imponente, sfarzoso, possente il video è ancora oggi uno dei più visionati su YouTube. Il video di A Beautiful Lie invece fu girato in Groenlandia, e da allora è iniziato l’impegno per la salvaguardia del circolo polare artico. Il video valse loro anche il prestigioso premio come miglior video agli MTV Europe Music Award, dove vinsero un altro premio – per la seconda volta di seguito – come migliore rock band.
Erano rimasti però in tre. Il bassista Matt Wachter li aveva lasciati, e non fu mai sostituito da un altro bassista in pianta stabile. Ormai i Thirty Seconds To Mars erano Jared Leto, cantante, chitarrista, occasionalmente bassista, polistrumentista, insomma; il fratello maggiore Shannon Leto alla batteria, percussioni e tutto ciò che si potesse percuotere con un paio di bacchette, essendo considerato oggi uno dei migliori batteristi al mondo, dall’energia inesauribile e dall’indiscussa creatività; ed infine il chitarrista (ma anche qui non si disdegnano altri strumenti, dal basso al violino) Tomo Milicevic.
Il cinema poteva aspettare, nonostante altri successi interpretati da Jared, comeGirl, Interrupted; Requiem For A Dream, un film dove già si intravedeva la precisione maniacale del cantante-attore nel calarsi in parti travagliate, che richiedono anche drastiche trasformazioni fisiche; ed il definitivo lancio che arrivò con Alexander di Oliver Stone, dove ricopriva il ruolo di Efestione, il grande amore, amico e consigliere di Alessandro Magno. Il film fu un tremendo flop ai botteghini USA, ma gli occhi azzurri di Jared fecero breccia nei cuori di milioni di ragazzine in tutto il mondo, che cominciarono ad appassionarsi anche alla sua musica – almeno quelle che già non facevano parte dell’esercito dei Mars.
30 Seconds to Mars
Era il 2008, ed era giunto il momento per i Thirty Seconds di cominciare a lavorare sul loro terzo album. Jared aveva deciso di fare un film sulla preparazione del loro nuovo lavoro, perciò era pronto a filmare tutto. Per quest’album avevano chiamato i produttori discografici Flood e Steve Lillywhite. Fu costruito uno studio di registrazione a casa di Jared, che sarebbe diventata il quartier generale da dove avrebbero lavorato nei mesi successivi. Tutto sembrava perfetto, ma un fulmine si abbatté sulle loro teste all’improvviso. La EMI, da cui la Virgin dipendeva, fece loro causa per… Trenta milioni di dollari, prendendo come spunto il loro nome. Trenta milioni di dollari chiesti ai Trenta Secondi Per Marte. La casa discografica sosteneva che la band non avesse rispettato i termini contrattuali di produrre almeno tre dei cinque album che avrebbero dovuto fare secondo il loro contratto.
Il film sul nuovo album cambiò rotta, e si trasformò in un documentario sulla causa in corso. Ora questo documentario è stato finito, montato e distribuito con il nome di Artifact. Diretto da Jared Leto stesso, vede come “protagonisti” i tre membri della band, Jared, Shannon e Tomo, ma anche il loro manager, il loro avvocato, musicisti di altre band che come loro hanno avuto problemi con le proprie case discografiche (Linkin’ Park, Ok Go, System Of A Down) ed ex dipendenti della EMI stessa, tanto per citarne alcuni. Il documentario dimostra ancora una volta la genialità di Jared Leto, ma anche degli altri membri della band, che non hanno mai mollato il colpo, che sono sempre stati uniti; i due fratelli Leto, depositari del nome della band e quindi citati in giudizio, hanno affrontato la tempesta della causa inizialmente increduli (in una scena del documentario si vede Shannon, che, appena ricevuta la notizia, fa fatica a credere che stia succedendo, a capire appieno l’entità della scure che si è abbattuta su di loro – trenta milioni di dollari!) ma subito dopo decisi a combattere. Contattati manager ed avvocato, Jared dichiarò subito di voler andare in tribunale, di voler essere giudicato da una giuria di suoi pari. Ed il modo per controbattere fu trovato: secondo le leggi della California, dove i tre musicisti risiedono, e dove avevano firmato il contratto, nessuno può essere legato ad un contratto per un periodo superiore ai sette anni. Il contratto con la casa discografica, invece, li legava per nove anni; ciò lo rendeva non valido. I Thirty Seconds To Mars pertanto richiesero di porre termine a quel contratto.
30 Seconds to MarsLa battaglia legale che ne seguì durò quasi un anno. Quelle lunghissime giornate sono tutte documentate in Artifact. I loro stati d’animo, dallo shock iniziale alla rabbia, dalla voglia di combattere ai momenti di sconforto; le telefonate tra Jared ed il loro manager o il loro avvocato, ma al tempo stesso la voglia di continuare ad andare avanti, di produrre l’album che avrebbe dovuto comunque vedere la luce, con o senza la casa discografica alle spalle. Ma Artifact mostra anche molto di più. Le testimonianze di altri artisti, dicevamo, o degli addetti ai lavori; spiega però anche il meccanismo usato dalle case discografiche per ottenere il massimo dai propri artisti, con ben poco rispetto per il frutto della loro creatività. Quello che Artifact ci mostra è che per le major i cantanti o le band sotto contratto non sono nient’altro che delle galline dalle uova d’oro da spremere per ottenere il massimo profitto, senza riconoscere loro quanto dovuto – dove possibile. Il meccanismo è talmente semplice da risultare quasi banale, ma proprio per questo a volte passa inosservato; non viene notato come clausole vessatorie strozzino l’artista. Un meccanismo non propriamente nuovo, ma che le case discografiche hanno messo in pratica più ferocemente negli ultimi anni anche perché, con l’avvento della musica digitale, le vendite di dischi sono crollate in un modo spaventoso, causando la chiusura di centinaia di mega store di dischi in tutto il mondo, il licenziamento di migliaia di persone e l’acquisizione delle case discografiche sull’orlo della bancarotta da parte di squali che con la musica non hanno nulla a che fare, al solo scopo di trarre il massimo profitto con la minima spesa. D’altronde, come dice uno dei testimoni di Artifact: “Le vendite di dischi sono precipitate. I giovani sotto i 21 anni si chiedono perché noi compriamo dischi, perché spendiamo soldi per qualcosa che puoi avere gratis.”
Jared e Shannon non si arresero, e vollero controbattere con qualsiasi mezzo la causa, continuando al contempo la registrazione del nuovo album. D’altronde, da un lato Shannon dice nel documentario: I just wanna play, play, play (“voglio solo suonare, suonare, suonare”) e Jared dall’altro: Sono pronto ad andare fino in fondo. Di sicuro ai due fratelli Leto, vista anche la loro infanzia ed adolescenza non sempre facili, la voglia di combattere non manca. Fu così che la causa ebbe fine il 28 aprile del 2009, quando dopo un’estenuante attesa di giorni, appuntamenti dati e cancellati da parte della EMI, richieste soddisfatte d’incontri a quattr’occhi, e così via, fu trovato un accordo. La band rifirmò per la EMI, desiderando continuare la collaborazione – nonostante il trattamento ricevuto – con la major.
30 Seconds to Mars
Anche l’album a cui stavano lavorando fu portato a termine. Come disse Jared, “Per noi era una questione di avere tutto o niente. A volte devi combattere per essere libero.” E da questa lotta per la libertà nacque la loro dichiarazione di guerra alle ingiustizie, da parte di chiunque e nei confronti di chiunque: il nuovo, terzo disco della band fu chiamato in modo significativo This Is War, perché come ha detto più volte lo stesso Jared Leto “This Is War è un album riguardo al conflitto”. Un invito alla guerra allo scopo di trovare una pace per tutti, la giustizia universale.
Ed oggi, quando ormai i Thirty Seconds To Mars sono entrati nel Guinness World of Records per il tour più lungo da parte di una rock band (più di 300 concerti per il tour di This Is War), continuano a vincere premi come miglior band, per i migliori video, od i migliori live, hanno pubblicato un quarto album che ha ottenuto un enorme successo in tutto il mondo intitolato Love Lust Faith + Dreams, sono nuovamente in tournée da mesi e mesi, hanno venduto quasi dieci milioni di album, come sono i loro rapporti con la EMI?
A rispondere è lo stesso Jared Leto alla fine di Artifact:
According to EMI, Thirty Seconds To Mars is still 1.7 million dollars in debt to them. Thirty Seconds To Mars has still never been paid for the sales of any of their albums.
(Secondo la EMI, i Thirty Seconds To Mars sono ancora in debito con loro per 1.7 milioni di dollari. I Thirty Seconds To Mars non sono stati ancora pagati per la vendita di alcuno dei loro album).
Problemi risolti, quindi? Niente affatto. Viene da chiedersi, ma i Thirty Seconds To Mars fanno tour che durano anche due anni perché amano esibirsi dal vivo e girare il mondo come pazzi (chissà se sarà mai successo loro di svegliarsi un mattino e chiedersi: ma in che cazzo di Paese del mondo sono oggi?) oppure lo fanno perché devono pagare le bollette delle loro case di Los Angeles? Forse entrambe le cose sono vere. Certo è che sembra scandaloso che una band che ha venduto milioni di copie dei loro dischi ed ottenuto i più alti riconoscimenti non sia pagata per la vendita dei suoi dischi. Diciamo la verità, sarebbe bello pensarla come Lord Byron, il più grande poeta inglese, che non volle mai essere pagato dal suo editore per la vendita dei suoi poemi perché trovava scandaloso dare un prezzo alla sua arte; sarebbe bello, ma non sarebbe giusto. Oggi gli artisti – non solo i musicisti, naturalmente, ma loro in modo particolare – generano un giro di soldi astronomico. Un indotto da capogiro. Il tutto grazie al loro genio, alla loro abilità, uniche per ciascuno di loro. Quindi, è giusto che siano pagati. È tuttavia anche vero che la digitalizzazione della musica, la possibilità di scaricare album o singoli brani gratuitamente ovunque, ha ucciso un mercato già agonizzante. I più giovani hanno perso l’emozione di stringere tra le proprie mani un album, sfogliarne il booklet, esporlo ben in vista insieme agli altri. Oggi, chiedete a qualsiasi adolescente quale sia la sua band o cantante preferiti, e la maggior parte risponderà che ascolta di tutto, ovvero ciò che capita, salvo rare eccezioni. È vero anche che, sebbene le scene di fanatismo siano sempre esistite (basta guardare cosa avveniva ai tempi dei Beatles), molte sono le fan che si sono avvicinate a band come i Thirty Seconds To Mars perché i loro componenti sono tre bellissimi uomini. Poi difficilmente distinguono un assolo di chitarra da uno di basso, senza contare di quanti si prendano effettivamente la briga di tradurre, di capire a fondo i loro testi. Basta andare su Internet e leggere i commenti delle fan nelle pagine Facebook a loro dedicate o nei vari forum. “Imbarazzante” è un aggettivo riduttivo per descrivere ciò che si legge. Forse se ci fosse una maggiore educazione alle arti, allo studio della musica, del cinema, della pittura, eccetera, non ci sarebbero schiere di adolescenti che andranno a vedere The Dallas Buyers Club, l’ultimo film girato da Jared Leto di prossima uscita anche in Italia (in molti Paesi è già uscito, ed infatti il cantante-attore ha già ricevuto innumerevoli nomination e premi, al punto che si parla già di una quasi sicura candidatura all’Oscar – e di una possibile vittoria) solo per vedere il loro beniamino rivestire i panni di una transessuale sieropositiva. Ma non ditelo loro, si offenderebbero a morte e direbbero che vanno a vedere il film per vedere come sia superbamente bravo. Chissà se poi, con lo stesso zelo, si informeranno su quale sia stata la situazione degli ammalati di AIDS nel mondo durante gli anni ’80, di come fossero stati trattai dalla politica reaganiana-tatcheriana che li vedeva come dei rifiuti della società, e che preferiva lasciarli morire piuttosto che curarli.
30 Seconds to Mars
Ecco quindi che si preferisce passare ore su Internet in cerca delle ultime foto di Jared e soci e scaricare la loro musica, piuttosto che comprare i CD in un negozio. Naturalmente, le generalizzazioni non sono mai positive, ma purtroppo questa è la verità: sono più le tracce musicali scaricate che quelle acquistate dalle persone al di sotto dei 25 anni. Questo ha fatto sì che le grandi case discografiche, che spesso erano anche proprietarie di catene di mega store dove venivano venduti CD e DVD musicali, si siano trovate ad affrontare in pochissimo tempo una crisi inimmaginabile prima dell’avvento della musica digitale.
È un circolo vizioso, di cui è difficile vedere la via d’uscita. Sicuramente Artifact è arrivato per le major discografiche, e probabilmente in particolare per la EMI, come un pugno nello stomaco. Ma qualcuno doveva pur essere il primo a spezzare il muro di omertà che protegge queste multinazionali della musica e raccontare al mondo la verità. Jared Leto ed i suoi compagni di viaggio musicale hanno avuto il coraggio di farlo, ed ora c’è solo da sperare che i nuovi artisti che firmeranno contratti discografici in futuro prestino più attenzione alle clausole prima di accettarle; solo così l’atteggiamento delle label dovrà cambiare. Nella speranza di assistere anche ad una rinascita reale della musica, dove testi e melodie diventino più importanti del bel visino di chi canta e suona.
Artifact è disponibile su iTunes od è direttamente acquistabile dal sito della band,www.thirtysecondstomars.com